Le rivolte in Iran

In seguito alla morte di una ragazza in Iran, detenuta dalle guardie perche’ non indossava il velo, sono iniziate manifestazioni di protesta in tutto il paese. Inizialmente di donne, ma tutta la società sembra non accettare la repressione e la limitazione delle libertà che il sistema politico e religioso impone alla popolazione.

Alcuni studenti hanno provato ad approfondire il tema, e scrivere le loro riflessioni a partire dagli spunti che gli eventi di questi giorni in Iran ci possono dare. Abbiamo selezionato i testi piu’ significativi

Le manifestazioni cambiano il mondo: dalla presa della Bastiglia all’Iran di oggi

Nicolás Sánchez, 3B, 24/11/2022

Attualmente l’Iran sta attraversando una situazione assai complicata nella quale i diritti, soprattutto quelli delle giovani donne, non sono rispettati. È quindi opportuno ricordare l’importanza di manifestare e avere presente il fatto che le manifestazioni, le proteste e le rivolte hanno la capacità di fare una grande differenza e di avere un enorme impatto positivo sulla cultura e sulla società in momenti di crisi e di situazioni di ingiustizia. Nel corso della storia rivolte e proteste non solo non hanno lasciato la gente indifferente ma hanno anche cambiato la società a volte in modo irreversibile.

È il caso della presa della Bastiglia da parte dei cittadini francesi a Parigi nel 1789, grazie alla quale furono soppressi i privilegi della nobiltà e fu stabilita la monarchia parlamentare.

Un esempio più recente è la marcia su Washington del 1963, durante la presidenza di Kennedy, una manifestazione pacifica sotto il lemma: “lavoro, giustizia e pace”. Questa manifestazione aveva come scopo difendere la parità di diritti tra le persone bianche e la comunità afroamericana, dato che in quell’epoca in tanti Stati dell’America alle persone nere non era permesso votare, accedere a certi lavori o studiare in certe scuole e università. La marcia su Washington fini con il famoso discorso “I have a dream” pronunciato da Martin Luther King che favorì l’approvazione delle leggi per i diritti civili e la legge del diritto al voto, rispettivamente nel ‘64 e nel ‘65.

Sei anni dopo la marcia su Washington, il 28 giugno del 1969 ebbero luogo i disordini di Stonewall, una serie di rivolte partite dal pub Stonewall Inn a New York per iniziativa di parte dei membri della comunità LGBT. Queste manifestazioni furono la prima occasione nella quale questa comunità reagì contro un sistema che li discriminava e sono riconosciute come il catalizzatore del movimento moderno pro-diritti LGBT negli Stati Uniti e in tutto il mondo.

Senza tutte queste rivolte, il nostro mondo e la nostra società sarebbero forse molto diversi e arretrati sotto tanti aspetti. Quindi anche se a volte può sembrare poco, è sempre importante non rimanere in silenzio ma fare ciò che si può per cambiare le cose, soprattutto quando sono in gioco i diritti umani che sono inviolabili, come sfortunatamente sta accadendo in Iran in questi giorni.

Uomini e donne uniti per la libertà in Iran

Laura López-Linares, 3B, 14/11/2022

Poco piú di un mese fa, il 16 settembre 2022, dopo l’assassinio di Masha Amini, si è
scatenata una serie di rivolte in Iran. Questa giovane donna è stata accusata di aver
indossato in modo scorretto l’hijab, rigorosamente obbligatorio nel paese, ed è stata
fermata e torturata fino alla morte dalle autorità. Questo evento è stato la goccia che
ha fatto traboccare il vaso, ma l’insofferenza dei cittadini è presente da molto tempo.
Non è uno scontento che si basi solo sul fatto che le donne siano obbligate ad utilizzare
l’hijab. Questo è un simbolo, il riflesso di un problema più grande. L’hijab rappresenta
l’oppressione verso le donne. Espressa da una dittatura religiosa.
Questa dittatura ha prodotto nel corso del tempo una serie di leggi che ha privato le
donne di ogni forma di autonomia, rendendole figure dipendenti dal maschio. Non
hanno nemmeno la possibilità di viaggiare senza il suo permesso e non hanno libertà di
scelta riguardo al matrimonio, al divorzio, al modo di vestire e alla custodia dei figli. Tutto
questo colloca la figura della donna in secondo piano, impedendole di vivere
dignitosamente. Non c’è quindi di che stupirsi se la morte di Masha abbia scatenato una
reazione così forte da parte delle donne contro lo Stato.
L’elemento che rende questa rivolta unica e suppone un chiaro cambiamento nella
mentalità di tutti i cittadini è, pirma di tutto, il fatto che queste proteste siano state
guidate da donne, ma, soprattutto, che queste abbiano ricevuto un supporto da parte
degli uomini. È impressionante la quantità di ragazzi giovani che lottano giorno dopo
giorno per migliorare la qualità di vita delle donne del paese, permettendo così a questa
protesta di crescere e dando una vera speranza al miglioramento.
Perché gli uomini stiano reagendo ora, o meglio ancora, perché non abbiano reagito
finora, non ha una chiara spiegazione ma ci sono varie ipotesi. Sicuramente un punto
chiave è il fatto che Masha Amini era originaria della provincia del Kurdistan, dove vive
una minoranza fortemente rispettata dalla comunità iraniana. Inoltre, grazie alla
tecnologia gli uomini iraniani, così come le donne, hanno una visione molto più aperta
del mondo, potendo in effetti vedere come si comportano altre società e come sia
fattibile una equa ripartizione dei diritti. Perché anche se potrebbe sembrare “stupido”
lottare per il diritto di coloro che sono le tue schiave, questa è in realta la scelta più
intelligente e onorevole possibile. Gli uomini lottano perché si sono resi conto che è un
regime che opprime tutti e che non è giusto vivere in queste condizioni, per nessuno.
Questa infatti è stata la ragione che ha portato il governo a bloccare i mezzi di
comunicazione, per tentare di limitare la diffusione di ciò che succede nel paese ma
anche per impedire a tutti coloro che lottano in Iran di sapere che ci sono continue
manifestazioni in tutto il mondo e che la gente sta lottando perché i loro diritti siano
riconosciuti.

Iran: una vera e propria rivoluzione del pensiero

Daniela Del Varo, 3B, 14/11/2022

“Donna, vita, libertà”: sono le parole nuove della rivolta iraniana che, dalla morte di Mahsa Amini, risuonano nelle proteste in atto in questi giorni in Iran e in tutto il mondo.
La frase è stata pronunciata per la prima volta ai funerali della giovane, morta il 14 settembre dopo essere stata arrestata e picchiata per aver indossato il velo in modo non conforme alla legge.
Questo evento ha scatenato la rabbia del popolo iraniano, che ha deciso di ribellarsi contro il governo. Gli arresti sono più di 1.200, mentre si stima che le vittime siano più di 80, anche se non si hanno informazioni chiare e verificabili, giacché negli ultimi giorni il paese si trova isolato a causa del blocco della rete.
La severità delle autorità contro le manifestazioni di piazza non ha fermato però la protesta delle donne iraniane, una rivolta che si è trasformata in una sfida aperta al regime autoritario: si tratta di una vera e propria rivoluzione.
“Liberté, Égalité, Fraternité”. Urlavano i francesi nel 1789. È stato grazie al loro coraggio che si sono creati i principi che hanno guidato il mondo dal Settecento ad oggi. Allo stesso modo, “Donna, vita, libertà” farà la storia. Sono quelle parole che restano per sempre e segnano un punto di non ritorno, che costituiscono il modello per quelli che verranno dopo.
Sono donne in particolare, giovani, anziane, madri, che hanno deciso di manifestare il proprio dissenso verso un regime oppressivo, estremista, che obbliga migliaia di donne a vivere sottomesse. Un chiaro esempio è Gohar Eshghi, una donna che, a ottanta anni, si è tolta pubblicamente il velo come forma di protesta contro l’uccisione di suo figlio nel 2012 dalla polizia iraniana: “Dopo 80 anni rimuovo il mio hijab perché voi uccidete in nome della religione”.
Queste donne, nonostante vengano picchiate, arrestate e umiliate continuamente, non arretrano dalla linea della protesta, anzi si tagliano i capelli, bruciano il loro hijab e cantano “Bella ciao” in lingua persiana. Lo stesso canto italiano, simbolo della resistenza, che veniva cantato dai partigiani nella Seconda guerra mondiale, ora viene utilizzato da giovani donne che sognano la libertà.
La vera rivoluzione comincia quando la furia di un popolo è maggiore della sua paura, quando non si temono le conseguenze. Essere rivoluzionario vuol dire avere coraggio, significa rialzarsi dopo essere stato calpestato e provare a cambiare le cose.
Per dirla con le parole del politico Fidel Castro: “Nessun vero rivoluzionario muore invano.”

L’isolamento mediatico dell’Iran tra protesta e censura

Michele Beltrame, 3B, 23/10/2022

È il 16 settembre quando Masha Amini, giovane di 22 anni, muore dopo tre giorni di coma a Teheran. Masha venne arrestata e picchiata dalla polizia iraniana per non aver indossato correttamente il velo ( hijab ). Oltre alle leggi legate all´abbigliamento, sono decine le regole che governano la vita delle donne e che le rendono cittadine di serie B. La morte di Masha ha dunque scatenato numerose proteste che hanno provocato manifestazioni a livello nazionale ed internazionale. In questo clima di repressione, la polizia ha soffocato le proteste con la violenza e in solo due settimane si calcolano approssimativamente 133 morti.

Essendo consapevoli delle gravi consequenze che la diffusione di questi avvenimenti fuori dal paese poteva avere e della facilità con la quale poteva scatenarsi una rivolta, il governo dell´Iran ha bloccato l’accesso alla rete, impedendo alla maggior parte degli 80 milioni di cittadini iraniani di accedere ai servizi digitali per diffondere le notizie al di là del paese. Inoltre, è importante avere in considerazione che se i propri manifestanti non hanno la possibilità di vedere che altri stanno protestando, è probabile che si fermino a loro volta. E nonostante persone da tutto il mondo si siano attivate per trovare un modo per far tornare gli iraniani online, ogni approccio sembra presentare dei limiti. Infatti, i messaggi contenenti il nome della vittima non potevano essere inviati. Anche reti sociali e app messaggistiche che permettono una rapida diffusione di notizie, come Instagram e Telegram, sono state vietate o altamente sorvegliate in tutto il paese, invece, altre, come Twitter o Facebook erano giá proibite da un tempo. Per cui, limitare l´accesso ai pochissimi canali rimasti significa praticamente isolare la popolazione.

Dovuta la grave situazione, si sono cercate e finalmente trovate delle accettabili anche se non sufficenti soluzioni. Signal, l´app nota per la sua attenzione verso la privacy che è considerata tra le più sicure per le comunicazioni, chiede aiuto agli utenti di tutto il mondo per garantire un´accesso sicuro ai cittadini iraniani. Essendo l´IP di Signal bloccato in tutto il paese, gli utenti localizzati in Iran possono comunicarsi tramite gli intermediari, i proxy (server intermedi tra gli utenti e il server di destinazione finale ), che hanno un altro IP. La destinazione finale resta sempre il server di Signal, ma la richiesta passa attraverso un messaggero che non è sottoposto alle censura.

In conclusione, considero che la censura sia un elemento spesso utilizzato dai governi per ostacolare la rápida diffusione delle notizie e così costruire un muro tra i propri cittadini e il mondo esterno. Questo muro però non è impenetrabile, anzi, presenta delle piccole fessure che, utilizzate correttamente, possono offrire una speranza al popolo represso.

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La protesta delle femministe polacche

CELIA RAIMONDI

Il 28 gennaio 2021 migliaia di persone sono scese in piazza in Polonia per protestare contro il governo conservatore di Varsavia, il quale ha decretato l’aborto una pratica illegale, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale. La sentenza ha esteso reso la legge antiaborto fra le più restrittive al mondo, penalizzando l’interruzione volontaria della gravidanza anche in caso di malformazione del feto.

In seguito all’approvazione della legge antiaborto, numerose attiviste si sono radunate a Varsavia per protestare con fumogeni, striscioni e bandiere arcobaleno.

Le proteste di Varsavia (28 gennaio 2021)

La manifestazione è iniziata davanti alla sede della Corte costituzionale, in cui è stata emanata la sentenza, per spostarsi poi di fronte alla sede del partito ultra-cattolico Legge e Giustizia. Inoltre sono stati organizzati numerosi cortei anche in altre città polacche, per denunciare l’orrore del sistema patriarcale polacco. 

Marta Lempart, leader del movimento delle donne polacche Ogolnopolski Strajk Kobiet (sciopero nazionale delle donne) rischia otto anni di prigione, per aver organizzato le proteste contro la nuova legge.

L’attivista è accusata di aver appoggiato “gli assalti alle Chiese”, in cui le dimostranti sono entrate pacificamente in luoghi di culto dove hanno affisso bandiere Lgbt, il loro simbolo di protesta.

I vertici europei si sono subito mobilitati, dati gli avvenimenti che si sono susseguiti in Polonia. La prima a intervenire è stata la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, la quale ha espresso apertamente il suo dissenso e ha ribadito le conseguenze disastrose di tale legge. 

Discorso femminista di Marta Lempart durante le proteste (28 gennaio 2021)

Anche il presidente della Commissione per le libertà civili, per la giustizia e gli affari interni Juan Fernando López Aguilar, ha condannato con forza la nuova legge di Varsavia: «Questa decisione dimostra ancora una volta che bisogna intervenire contro gli attacchi allo stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali in Polonia». «L’indipendenza della magistratura in Polonia non è più garantita – ha sottolineato Aguilar – come dimostra questa sentenza sui diritti delle donne all’aborto. Il diritto della donna di prendere decisioni sulla propria gravidanza, senza essere perseguita penalmente, dovrebbe essere un diritto costituzionale garantito in qualsiasi Paese dell’Unione europea».

Possiamo quindi dichiarare apertamente che l’emanazione di tale legge corrisponde a un gran passo indietro, limitando i diritti umani e favorendo situazioni di disuguaglianza di genere.

In Italia la legge 194 sull’aborto è stata emanata il 22 maggio 1978, ed è stata introdotta ufficialmente nel 1981, tutelando i diritti di tutte le donne. Essa stabilisce che una donna può effettuare un’interruzione volontaria della gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni e, nel caso si tratti di un aborto terapeutico, entro il secondo trimestre.

Abortire è un diritto fondamentale, proibirlo è una barbarie.

Ciononostante, le situazioni di disagio permangono ed è molto complicato poterle eliminare, come nel caso delle prese di posizione dei medici contro questa pratica per obiezione di coscienza. Infatti, attualmente in Italia si effettuano meno di 2.000 aborti legali ogni anno, secondo i dati ufficiali. Ma le organizzazioni femministe stimano che ogni anno siano circa 200.000 gli aborti illegali o avvenuti all’estero.