La protesta delle femministe polacche

CELIA RAIMONDI

Il 28 gennaio 2021 migliaia di persone sono scese in piazza in Polonia per protestare contro il governo conservatore di Varsavia, il quale ha decretato l’aborto una pratica illegale, a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale. La sentenza ha esteso reso la legge antiaborto fra le più restrittive al mondo, penalizzando l’interruzione volontaria della gravidanza anche in caso di malformazione del feto.

In seguito all’approvazione della legge antiaborto, numerose attiviste si sono radunate a Varsavia per protestare con fumogeni, striscioni e bandiere arcobaleno.

Le proteste di Varsavia (28 gennaio 2021)

La manifestazione è iniziata davanti alla sede della Corte costituzionale, in cui è stata emanata la sentenza, per spostarsi poi di fronte alla sede del partito ultra-cattolico Legge e Giustizia. Inoltre sono stati organizzati numerosi cortei anche in altre città polacche, per denunciare l’orrore del sistema patriarcale polacco. 

Marta Lempart, leader del movimento delle donne polacche Ogolnopolski Strajk Kobiet (sciopero nazionale delle donne) rischia otto anni di prigione, per aver organizzato le proteste contro la nuova legge.

L’attivista è accusata di aver appoggiato “gli assalti alle Chiese”, in cui le dimostranti sono entrate pacificamente in luoghi di culto dove hanno affisso bandiere Lgbt, il loro simbolo di protesta.

I vertici europei si sono subito mobilitati, dati gli avvenimenti che si sono susseguiti in Polonia. La prima a intervenire è stata la commissaria per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, la quale ha espresso apertamente il suo dissenso e ha ribadito le conseguenze disastrose di tale legge. 

Discorso femminista di Marta Lempart durante le proteste (28 gennaio 2021)

Anche il presidente della Commissione per le libertà civili, per la giustizia e gli affari interni Juan Fernando López Aguilar, ha condannato con forza la nuova legge di Varsavia: «Questa decisione dimostra ancora una volta che bisogna intervenire contro gli attacchi allo stato di diritto, alla democrazia e ai diritti fondamentali in Polonia». «L’indipendenza della magistratura in Polonia non è più garantita – ha sottolineato Aguilar – come dimostra questa sentenza sui diritti delle donne all’aborto. Il diritto della donna di prendere decisioni sulla propria gravidanza, senza essere perseguita penalmente, dovrebbe essere un diritto costituzionale garantito in qualsiasi Paese dell’Unione europea».

Possiamo quindi dichiarare apertamente che l’emanazione di tale legge corrisponde a un gran passo indietro, limitando i diritti umani e favorendo situazioni di disuguaglianza di genere.

In Italia la legge 194 sull’aborto è stata emanata il 22 maggio 1978, ed è stata introdotta ufficialmente nel 1981, tutelando i diritti di tutte le donne. Essa stabilisce che una donna può effettuare un’interruzione volontaria della gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni e, nel caso si tratti di un aborto terapeutico, entro il secondo trimestre.

Abortire è un diritto fondamentale, proibirlo è una barbarie.

Ciononostante, le situazioni di disagio permangono ed è molto complicato poterle eliminare, come nel caso delle prese di posizione dei medici contro questa pratica per obiezione di coscienza. Infatti, attualmente in Italia si effettuano meno di 2.000 aborti legali ogni anno, secondo i dati ufficiali. Ma le organizzazioni femministe stimano che ogni anno siano circa 200.000 gli aborti illegali o avvenuti all’estero.

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